Dario Fo nasce il 24 marzo 1926 in una famiglia di tradizione antifascista. Suo padre è un ferroviere, sua madre una contadina e abitano in piccolo paesino lombardo, Leggiuno-Sangiamo, in provincia di Varese.


Giovanissimo, si trasferisce a Milano dove frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera e successivamente si iscrive alla facoltà di architettura del Politecnico, che abbandona prima della laurea. Ironia della sorte, una volta affermato, riceverà nel tempo numerosissime laureee honoris causa…
Nei primi anni di apprendistato, comunque, la sua attività è caratterizzata fortemente dall’improvvisazione. Sul palco, inventa lì per lì storie che lui stesso recita in chiave farsesca e satirica.
Dal 1952 comincia a collaborare con la Rai: scrive e recita per la radio le trasmissioni del “Poer nano”, monologhi che vengono poco dopo rappresentati al Teatro Odeon di Milano.
Dalla collaborazione con due grandi del teatro italiano, Franco Parenti e Giustino Durano, nasce nel 1953 “Il dito nell’occhio”, uno spettacolo di satira sociale e politica, e nel 1954 “Sani da legare”, dedicato alla vita quotidiana nell’Italia dei conflitti politici. Il testo, non a caso, viene duramente colpito dalla censura, e la collaborazione si esaurisce. Infatti, quando i burocrati intervengono sul copione, i due abbandonano la trasmissione per protesta.

Nel 1959 crea con la moglie Franca Rame un gruppo teatrale che porta il suo nome: inizia così il periodo delle censure reiterate da parte delle istituzioni allora vigenti. Ancora per la televisione scrivono per “Canzonissima” ma nel 1963 lasciano la Rai e tornano al Teatro. Costituiscono il gruppo Nuova Scena, che si propone di sviluppare un teatro fortemente alternativo ma nello stesso tempo popolare.
Nel frattempo, tenta anche l’esperienza del cinema. Diventa co-sceneggiatore ed interprete di un film di Carlo Lizzani (“Lo svitato” (1955); nel ’57, invece, mette in scena per Franca Rame “Ladri, manichini e donne nude” e l’anno successivo “Comica finale”.
Alla stagione teatrale 1969-1970, invece, appartiene “Mistero buffo”, forse l’opera più famosa di Fo, che sviluppa la ricerca sulle origini della cultura popolare. Nell’originale e geniale operazione di Fo, i testi riecheggiano il linguaggio e il parlato medioevale, ottenendo questo risultato tramite un miscuglio di dialetto “padano”, di espressioni antiche e di neologismi creati dallo stesso Fo. E’ il cosiddetto “Grammelot”, uno stupefacente linguaggio espressivo di sapore arcaico, integrato dalla plastica gestualità e dalla mimica dell’attore.
Nel 1969 fonda il “Collettivo Teatrale la Comune”, con il quale nel 1974 occupa a Milano la Palazzina Liberty, uno dei luoghi centrali del teatro politico di controinformazione. Dopo la morte del ferroviere Pinelli, mette in scena “Morte accidentale di un anarchico”. Dopo il colpo di stato in Cile, invece, scrive “Guerra di popolo in Cile”: un tributo al governo di Salvador Allende che però in qualche modo allude anche, e neanche troppo velatamente, alla situazione politico-sociale che si stava vivendo in Italia.


Nel 1977, dopo un lunghissimo esilio televisivo (15 anni), fatto più unico che raro nel nostro Paese, Fo torna sugli schermi. La carica dissacratoria non si è esaurita e i suoi interventi sono sempre provocatori e tendono ad incidere sulla realtà.
Negli ultimi anni ha continuato a produrre opere teatrali, come “Johan Padan a la descoverta de le Americhe” e “Il diavolo con le zinne”, occupandosi anche di regia e di didattica. Ad esempio, nel 1987 pubblica il presso Einaudi il “Manuale minimo dell’attore”, a beneficio non solo degli estimatori ma anche di coloro che desiderano intraprendere la strada del teatro.
Nel 1997 riceve il Premio Nobel per la Letteratura, “per avere emulato i giullari del Medio Evo, flagellando l’autorità e sostenendo la dignità degli oppressi”. “Dario Fo”, si legge nel comunicato ufficiale della Fondazione Nobel, “con un misto di riso e di serietà ci apre gli occhi sugli abusi e le ingiustizie della società, aiutandoci a collocarli in una prospettiva storica più ampia”.


L’assegnazione del Nobel provoca, a seconda dei casi, consensi o dissensi, proprio per la natura poco definita dell’arte di Fo (alcuni contestano che si possa definire un “letterato” o uno “scrittore” in senso stretto). Il premiato, ad ogni modo, non si limita a bearsi della gloria raggiunta, ma utilizza la cerimonia di premiazione per lanciare una nuova iniziativa contro la Direttiva sulla brevettazione di organismi viventi proposta dal Parlamento Europeo. In breve, si trasforma in una sorta di “testimonial” della campagna lanciata dal Comitato Scientifico Antivivisezionista e da altre associazioni europee, intitolata “Per opporsi al brevetto dei geni non occorre essere dei geni”.
Da ricordare anche la sua battaglia e il suo impegno in difesa di Adriano Sofri, nonché il suo spettacolo-ricostruzione “Marino libero, Marino innocente”, legato appunto alla controversa vicenda della detenzione di Bompressi, Pietrostefani e Sofri.

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