"La nostra opera dal suo Vangelo"

Il regista Giorgio Gallione parla dello spettacolo tratto dal disco in cui il cantautore affrontava le scritture apocrife.

LA REPUBBLICA

 



In prosa e musica, La buona novella di Fabrizio de André, sorta di opera da camera in forma di sacra rappresentazione, disco di culto del 1969, sta per diventare spettacolo.
A metterlo in scena sarà il Teatro dell’Archivolto con drammaturgia e regia di Giorgio Gallione che ha affidato a Claudio Bisio il ruolo del narratore, a Lina Sastri la parte di Maria adulta, e a Leda Battisti i panni della giovanissima Maria, riservando la figura di Tito il ladrone ad Andrea Ceccon, del gruppo Le Voci Atroci che a sua volta farà il coro. Per l’elaborazione musicale si è fatto affidamento su un compositore colto, Carlo Boccadoro, leader di Sentieri Selvaggi, e lo stesso gruppo contribuirà dal vivo al lavoro.
Questa produzione che rende omaggio al De André rivoluzionario alle prese con un tema spirituale tratto da brani dei Vangeli Apocrifi, gesto che all’epoca fu oggetto di molte polemiche, debutterà il 30 novembre al Teatro Carlo Felice di Genova, con repliche dal 2 al 9 dicembre al Teatro Gustavo Modena, sede genovese dell’Archivolto.
L’ora e mezza di spettacolo, in una scenografia completamente bianca, una sorta di limbo di carta scandito da proiezioni rievocanti la pittura di Osvaldo Licini e occupato da sagome di Christian Boltanski, impegnerà quattro solisti, nove strumentisti e un piccolo coro, con la sorpresa di alcuni testi inediti perché il disco all’epoca non conteneva tutto il materiale scritto da De André.
C’era già una certa teatralità, Gallione, nella Buona Novella su disco? «Sì, tant’è vero che poteva benissimo definirsi un conceptalbum, con tema portante articolato. La struttura era a base di canzoni e brevi raccordi verbali con ispirazione che va dal protoVangelo di Giacomo al Vangelo Armeno dell’Infanzia, più alcuni frammenti dei Vangeli Gnostici. Tutto è pensato come un racconto arcaico all’insegna dell’allegoria, un misto di mito e letteratura in cui lui distribuisce bene i ruoli a ogni personaggio assunto poi da lui stesso col metodo dello straniamento.
Il nostro intervento è servito a scindere e ricomporre con cura queste assegnazioni di parti.
Ad esempio nello spettacolo ho puntato su due Marie, una idealmente ragazza e una più matura».
Dalla vostra ricostruzione viene alla luce un De André scettico o in qualche modo disponibile nei confronti della cultura evangelica?
«Era un non credente, ma il riflesso condizionato dei ribelli si traduce in atteggiamento etico di fascinazione verso i temi spirituali. Negli ultimi tempi De André aveva reinserito nei suoi concerti 45 brani della Buona Novella. Nel rispetto della sua ricerca, io mi sono anche interessato degli Apocrifi non pubblicati entro il ’69, ad esempio i Vangeli Gnostici, da cui ho tratto il Prologo e l’Epilogo».
E con quale criterio ha creato la compagnia per un evento così eccezionale?
«Lina Sastri era l’artista ideale per una Maria spartana, la somma di tante radici. Claudio Bisio ha la dimensione espressiva di un Giuseppe consapevole, e può farsi testimonedicitore di più eventi. Leda Battisti ha il profilo della Maria adolescente.
E Andrea Ceccon, da cantante di area trasgressiva, è il Tito ladrone più adatto». Di De André non si sentirà mai la voce.
«Sarebbe una mossa celebrativa, e non è nelle nostre corde di Teatro Stabile dell’Innovazione, categoria cui apparteniamo da quest’anno».

 

Rodolfo Di Giammarco



 


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