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Il sosia  - Giorgio Gaber

Giorgio Gaber

IL SOSIA


Fuori c’era un bel cortile,
poi le grandi scale
e c’era il vento
e gli alberi di mele.

Si fece notte
e un uomo della mia statura e della mia presenza
mi conduceva in un’insenatura
che a un certo punto diventava la mia stanza.

Lì c’era tutta la mia vita
che per la prima volta mi si rivelava
e c’era un grande specchio
che indifferente mi duplicava.

L’uomo della mia statura e della mia presenza
forse troppo famigliare,
forse troppo somigliante
mi stava accanto e non faceva niente.

Mi giunse la sua voce
che assomigliava un po’ alla mia
ormai era più ingrata e senza sfumature
con certe fastidiose intonazioni
che sento a volte nelle mie registrazioni.

Ma più che altro
mi spaventò il suo volto
tremendamente uguale al mio,
non ebbi più alcun dubbio,
quell’uomo ero senz’altro io.

E allora io mi vidi
così brutto e scoperto
che fui preso dal terrore
e mi scoppiava il cuore
come fosse un infarto.

E lui rideva
e poi sputava l’aria
con una calcolata cattiveria,
e quella smorfia era la mia copia speculare
così imbruttita e repellente
da fare orrore.

Odio il tuo viso che è la mia caricatura,
odio la tua voce che è la mia scimmiottatura,
odio l’arroganza della tua idiozia,
odio la tua stupida parola che è la mia.

Ma lui restava immobile a guardare
poi prese a parlare esageratamente adagio,
mi disse che era logico e normale
che in quella notte di casuale sortilegio
aveva avuto il privilegio
di conoscere il male.

Fuori non c’era più il cortile,
né le grandi scale
e nemmeno il vento,
né gli alberi di mele.

Era come un sogno che svapora
che quando lo racconti
non riesci neanche a ricordarti.

Fuori mi aspettavano altri sogni,
altri infarti…



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