Federico
Fellini è nato a Rimini il 20 gennaio 1920 da famiglia
piccolo-borghese.
Il padre proviene da Gambettola e fa il rappresentante
di commercio di generi alimentari,
mentre la madre è una semplice casalinga.
Il
giovane Federico frequenta il liceo classico della città
ma lo studio non fa molto per lui. Comincia allora a procurarsi
i primi piccoli guadagni come caricaturista:
il gestore del cinema Fulgor, infatti, gli commissiona ritratti
di attori celebri da esporre come richiamo. Nell'estate del
1937 Fellini fonda, in società
con il pittore Demos Bonini,
la bottega "Febo", dove i due eseguono caricature
di villeggianti.
Fin
dai primi tempi, frequenta il mondo dell'avanspettacolo
e della radio, dove conosce,
fra gli altri, Aldo Fabrizi,
Erminio Macario e Marcello
Marchesi, e comincia a scrivere copioni e gag. Alla
radio incontra, nel 1943, anche
Giulietta Masina che sta interpretando
il personaggio di Pallina, ideato dallo stesso Fellini.
Nell'ottobre di quell'anno i due si sposano. Per il cinema
ha già iniziato a lavorare fin dal 1939, come "gagman"
(oltre a scrive battute per alcuni film girati da Macario).
Negli
anni della guerra collabora alle sceneggiature di una serie
di titoli di buona qualità, fra i quali "Avanti
c'è posto" e "Campo de' fiori" di
Mario Bonnard e "Chi l'ha visto?" di Goffredo
Alessandrini, mentre subito dopo è fra i protagonisti
del neorealismo, sceneggiando alcune delle opere più
importanti di quella scuola cinematografica: con Rossellini,
ad esempio, scrive i capolavori
"Roma città aperta" e "Paisà",
con Germi
"In nome della legge", "Il cammino
della speranza" e "La città si difende";
con Lattuada "Il delitto di Giovanni Episcopo",
"Senza pietà" e
"Il mulino del Po". E sempre in collaborazione
con Lattuada esordisce alla regia all'inizio degli anni
cinquanta: "Luci del varietà"
(1951),
rivela già l'ispirazione autobiografica e l'interesse
per certi ambienti come quello dell'avanspettacolo.
L'anno
successivo Fellini dirige il suo primo film da solo,
"Lo sceicco bianco".
Con "I vitelloni", invece,
(siamo nel 1953), il suo nome varca i confini nazionali e viene
conosciuto all'estero. In questa pellicola, il regista ricorre
per la prima volta ai ricordi, all'adolescenza riminese e ai
suoi personaggi stravaganti e patetici.
L'anno
dopo con "La strada"
conquista l'Oscar ed è la consacrazione internazionale.
Il secondo Oscar, invece, arriva nel 1957 con "Le
notti di Cabiria". Come in "La strada",
la protagonista è Giulietta Masina, che ha avuto via
via ruoli di diversa importanza in tutti i primi film del marito.
Qui veste i panni della Cabiria del titolo, una prostituta ingenua
e generosa, che paga con atroci delusioni la fiducia che ripone
nel prossimo.
Con
"La dolce vita"
(1959), Palma d'oro a Cannes e spartiacque della produzione
felliniana, si acuisce l'interesse per un cinema non legato
alle tradizionali strutture narrative.
Alla sua uscita il film suscita scandalo, soprattutto
negli ambienti vicini al Vaticano: gli si rimprovera,
assieme ad una certa disinvoltura nel presentare situazioni
erotiche, di raccontare senza reticenze la caduta dei
valori della società contemporanea.
Nel
1963 esce "8½",
forse il momento più alto dell'arte felliniana.
Vincitore dell'Oscar per
il miglior film straniero e per i costumi (Piero Gherardi),
è la storia di un regista che racconta, in modo
sincero e sentito, le sue crisi di uomo e di autore. L'universo
onirico introdotto in "8½" ritorna in
forma esplicita in tutti i film fino alla fine degli anni
sessanta: in
"Giulietta degli spiriti" (1965), ad
esempio, è tradotto al femminile e tenta di far
da riferimento alle ossessioni e ai desideri di una donna
tradita.
Con
il successivo "Toby Dammit", episodio di "Tre
passi nel delirio" (1968), trasfigura una novella di
Edgar Allan Poe, "Non scommettere la testa con il diavolo",
asservendola ad un ulteriore approfondimento sulle angosce
e sulle oppressioni dell'esistenza contemporanea. In "Fellini-Satyricon"
(1969), invece, l'impianto onirico è trasferito alla
Roma imperiale del periodo della decadenza. È una
metafora del presente, in cui spesso prevale il piacere
goliardico della beffa accompagnato da un interesse per
le nuove idee dei giovani contemporanei.
Conclusi
con lo special televisivo Block-notes di un regista gli anni
sessanta, il decennio successivo si apre con una serie di film
in cui il passato riminese torna alla ribalta con sempre maggior
forza. "Amarcord" (1973),
in particolare, segna il ritorno alla Rimini dell'adolescenza,
degli anni del liceo (gli anni trenta). I protagonisti sono
la città stessa con i suoi personaggi grotteschi. La
critica e il pubblico lo acclamano con il quarto Oscar.
A
questo film gioioso e visionario si susseguono "Il Casanova"
(1976), "Prova d'orchestra" (1979),
"La città delle donne" (1980) "E
la nave va" e
"Ginger e Fred" (1985).
L'ultimo film è "La voce della
Luna" (1990), tratto da "Il poema dei lunatici"
di Ermanno Cavazzoni. Fellini torna in questo modo con i suoi
pazzi nella campagna per ascoltare le sue voci, i suoi bisbigli,
lontano dal clamore della città. Il film rispecchia in
pieno questi dati: da un lato, abbiamo allora la sgradevolezza
delle immagini dei baracconi che quotidianamente vengono montati
e smontati, dall'altro il calore e la poesia delle sequenze
del cimitero, dei pozzi, della pioggia, della campagna di notte.
Qualche mese prima di morire, nella primavera del 1993
Fellini riceve il suo quinto Oscar,
alla carriera.
'Fellini,
uno dei pochi che hanno fatto del cinema una parte dell'Arte
moderna; il solo la cui immensa opera può essere messa
sullo stesso piano di quella di Picasso e di Stravinskij. Film
che gettano uno sguardo magicamente immaginativo e, allo stesso
tempo, terribilmente lucido sul mondo moderno, sulla sua grottesca
sessualità, il suo abbruttimento, il suo esibizionismo'
Milan Kundera
'Il
Cinema somiglia moltissimo al circo. E' probabile che se il
circo non fosse esistito, io non avrei incontrato Rossellini,
e se il circo fosse ancora un genere di spettacolo di una certa
attualità, mi sarebbe piaciuto molto essere il direttore
di un grande circo, poichè il circo è esattamente
un miscuglio di tecnica, di precisione e d'improvvisazione.
Proprio mentre si svolge lo spettacolo già provato e
riprovato, si rischia veramente qualcosa; cioè vale a
dire che, nello stesso tempo, si vive'.