Dopo aver lavorato
da ragazzo in una fabbrica di salumi, nel ‘44 vince
un concorso per dilettanti che gli apre le porte della rivista
e dell’avanspettacolo, ambiti nei quali ottiene un
certo riscontro in coppia con Raimondo
Vianello: ancor maggiore popolarità
i due si guadagnano, negli anni ‘50, con un fortunato
programma televisivo, sino a che non vengono cacciati per
qualche battuta imprudente.
In cinema, esordisce accanto a
Walter Chiari ne “I cadetti
di Guascogna” (1950)
di Mario Mattoli, cui fanno seguito una sfilza di commedie
dal modesto livello.
La svolta giunge nel 1961: è allora, infatti, ch’egli
dimostra ben maggiori ambizioni dirigendosi con bravura
ne “Il mantenuto”, mentre Luciano
Salce gli offre il bel ruolo del fascista
Arcovazzi ne
“Il federale”. E’ il
principio d’una straordinaria carriera: negli anni
seguenti, egli avrà modo di dimostrare il proprio
eclettismo interpretando i più svariati tipi, dal
maturo ingegnere che si perde dietro una ragazzina de
“La voglia matta” (1962, ancora firmato
da Salce) allo sventurato protagonista de “L’ape
regina” (1963; è il film che segna
l’inizio del suo straordinario sodalizio con
Marco Ferreri), dalle survoltate e grottesche
caratterizzazioni de “I mostri” (1963) di Dino
Risi all’impietoso ritratto di borghese in foia nell’amaro
“La bambolona” (1968) di Franco
Giraldi.
Capace di spaziare su qualunque registro, non disdegnando
quei personaggi sgradevoli (l’imbonitore da fiera
del superbo “La donna scimmia”,
1964, di Ferreri od il sessuomane incauto dell’aspro
“Venga a prendere il caffè... da noi”,
1970, di Alberto Lattuada)
evitati come la peste da altri suoi celebri colleghi, Tognazzi
viene premiato con la Palma
d’Oro del miglior interprete a Cannes
per “La tragedia di un uomo ridicolo”
(1981) di Bernardo Bertolucci,
ma conosce i suoi successi più grandi grazie alle
serie inaugurate da “Amici miei”
(1975) di Mario Monicelli
ed
“Il vizietto” (1978) di Edouard
Molinaro.
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