I Nirvana sono il gruppo più rappresentativo del movimento
grunge. In pochi anni e con una manciata di album all’attivo,
sono riusciti a imporsi come la vera leggenda della scena
di Seattle, riuscendo a interpretare l’umore di un’intera
generazione e trasformando l’alternative rock in un fenomeno
di massa. Il sacrificio del loro leader, Kurt Cobain, ha
certamente alimentato il mito, ma l’impatto della musica
dei Nirvana sugli anni ’90 è indiscutibile e si può paragonare
per certi versi a quello avuto dagli Rem e dagli U2 sul
decennio precedente. Le radici delle band sono individuabili
nell'ambiente dei loro colleghi Melvins. Ispirandosi a loro,
Kurt Cobain (canto e chitarra), Chris Novoselic (basso)
e Chad Channing (batteria) formano i Nirvana e iniziano
a suonare usando proprio la strumentazione di seconda mano
dei Melvins. In realtà, nessuno dei tre è di Seattle: Cobain
è nato a Hoquiam (Washington), Novoselic e Channing sono
californiani. Ma i loro dischi, insieme a quelli di Pearl
Jam e Soundgarden, trasformeranno questa piccola città del
Nord-Ovest degli States in una fabbrica di successi miliardari.
Dopo aver pubblicato il 45 giri “Love Buzz/Big Cheese” per
l'etichetta simbolo della scena cittadina, la Sub Pop Records,
i Nirvana esordiscono a 33 giri con Bleach (1989).
Cobain si rivela subito l’anima del gruppo. Le sue capacità
compositive, in bilico tra John Lennon e Sid Vicious, emergono
da pezzi come “About A Girl”, una ballata che preannuncia
l'esistenzialismo e la vena desolata del suo stile, ma anche
da prototipi grunge come “School”, “Blew” e la cover “Love
Buzz” che fissano subito i parametri del sound Nirvana degli
anni a venire. Un sound duro e spigoloso, che mescola il
blues-rock sporco di Rolling Stones e Stooges con la tradizione
hard-rock (dai Led Zeppelin agli Aerosmith) e con il fervore
hardcore di Husker Du e Pixies. Il disco e la successiva
tournée garantiscono alla band un buon successo e la incoraggiano
a proseguire, malgrado già affiorino i problemi di salute
psico-fisica del suo leader. Ingaggiato alla batteria Dave
Grohl (Warren, Ohio), il trio firma con la major Geffen
e, nel settembre 1991, pubblica Nevermind. Prodotto da Butch
Vig e mixato da Andy Wallace, è un disco destinato a entrare
di diritto nei classici di sempre. Pochi album, nella storia
del rock, hanno infatti saputo incarnare con la stessa intensità
gli umori e le ansie di un'intera generazione. Eppure Kurt
Cobain, a registrazioni ultimate, non era soddisfatto.
Non perdonava a Gary Gersh e a Andy Wallace, rispettivamente
discografico e produttore, di aver voluto mettere le mani
sul materiale, accentuandone dinamica e profondità, e smussandone
gli angoli. Stava commettendo un errore colossale. Proprio
l'equilibrio, infatti, è il segreto di questo lavoro, capace
di mescolare con le giuste proporzioni hard-rock e melodia,
asprezza del suono e nitidezza degli arrangiamenti, furia
punk iconoclasta e malinconia esistenziale. La peculiarità
dei Nirvana è di saper associare al sarcasmo nichilista
del punk un talento melodico sconosciuto a gran parte delle
formazioni che emergono nello stesso periodo. E poi ci sono
i testi: una perfetta fusione fra musica e vita, in grado
di creare una simbiosi mitica fra artista e pubblico che
tocca il suo apice in “Smell like teen spirit”, il grido
rabbioso che apre l'opera e rimarrà negli annali a simboleggiare
lo spirito, apatico e sarcastico, di un'intera generazione
(lo rivisiterà anche in un'interessante versione "sensuale"
Tori Amos). Rinunciando in parte alla durezza del precedente
“Bleach”, Cobain dà sfogo ai suoi demoni in una serie di
ballate nevrotiche, che ricordano da vicino quelle del suo
grande maestro, Neil Young.
di Claudio
Fabretti
http://www.ondarock.it/Nirvana.html